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CREATURE DELL’AURORA E DEL CREPUSCOLO.


Amo la chiarità. Non quella, abbacinante, delle ore centrali del giorno. Il trascolorare, piuttosto, di quei momenti liminari, quando buio e luce si compenetrano. Attimi di sospensione e di attesa: l’aurora, prima del sorgere del sole, il crepuscolo, dopo la sua scomparsa. Oggi, la tenue chiarità che amo pare non finire mai. E’ giorno fatto, la tempesta di nubi e vento che viene da sud dona al cielo un’alba ininterrotta, un eterno crepuscolo. Non di colori sgargianti. D’un grigio diafano, invece, trafitto da aliti di rosso, marrone, verde. Saliamo verso Monte Gada, al centro di montagne che paiono deserti pietrificati. Nell’estremo nord-ovest della Calabria, quasi al confine con la Basilicata: terra liminare colta nella luce liminare! E per questo ancor più seduttiva. Tutto qui pare brullo. L’uomo, nei secoli, ha perpetrato lo sterminio d’un intero popolo arboreo. Eppure, nei valloni laterali al crinale, dove l’acqua piovana ristagna, piccole oasi di enormi faggi, aceri, cerri, ontani, compaiono all’improvviso. Come luoghi disambientati. Come microcosmi sfuggiti al genocidio della foresta. Sull’erta che percorriamo ricrescono lentamente piccole querce. Il bosco si riappropria della sua patria. Qui non v’è stato bisogno de “L’uomo che piantava alberi” di Jean Jono. E’ bastata la sua assenza, invece! Sulla cima, la foschia vela un paesaggio vastissimo: Aieta, Tortora, Mormanno, i monti Spina, Zaccana, Alpi, Sirino, Serramale, Cocuzzata, Cozzo del Pellegrino, Montea, La Caccia, Petricelle … le valli che scendono incassate verso il Tirreno. E l’apice settentrionale del Golfo di Policastro. Il terreno è un cesello di massi e terriccio costellato di erba bassa e fiori. Il vento galoppa, come un messaggero furioso. Urla parole che solo il cuore può udire. Al passo di Boccalupo, abbandono i propositi bellicosi della vigilia e taglio a sinistra, per una valletta da cui non sono mai passato. Inizia un’involontaria erranza. E le erranze, si sa, recano doni. Sperduti in un labirinto d’alberi e rupi. Due creature si stringono in un amplesso secolare: un acero opalus, dalla corteccia rosata, è una grigia rupe calcarea. Mi sovviene Mircea Eliade: “L’albero è carico di forze sacre […] perché è verticale, cresce, perde le foglie e le recupera, e di conseguenza si rigenera (muore e resuscita) innumerevoli volte […]. Dai tempi minoici fino al crepuscolo dell’ellenismo, si incontra sempre l’albero cultuale accanto a una roccia”. Caliamo sul grande cerchio fiorito dell’antico granaio di Piano Molarrieto. Contro il cielo pallido si erge maestosa la piramide di Cheope. Già, perché Monte La Destra è una piramide perfetta. O forse, come racconta Eugenio Pesci in “La montagna del cosmo”, gli egizi, come gli aztechi, come i maia, nel costruire le loro piramidi, intesero riprodurre esattamente la forma e la funzione simbolica delle montagne: “scale verso il cielo”, come ricordano gli antichi geroglifici. Colti da stupore, increduli, smarriti, sostiamo al centro del cerchio sacro. Circondati da quell’epifania litica. Circonfusi dall’alba ininterrotta, dall’eterno crepuscolo di questo giorno di prodigi. Nelle foto: scorci di Monte Gada e Piano di Molarrieto (Laino Borgo, Parco Nazionale del Pollino, Calabria). Foto Francesco Bevilacqua.



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