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LE RECENSIONI DI FRANCESCO BEVILACQUA

15- Roberto Bondì, "Introduzione a Telesio".
 

Di Bernardino Telesio (1509/1588) si sa a mala pena, presso la gente comune, che fu un filosofo calabrese, di Cosenza. Qualche via a lui intitolata, il ricordo dell’Accademia Cosentina, la stima incondizionata che il più noto Tommaso Campanella ebbe per lui, tengono vivo il suo nome. Il problema è che Telesio non scrisse mai un’opera relativamente semplice e accattivante come “La città del sole” dello stesso Campanella. Il suo “De rerum natura iuxta propria principia”, scritto, per altro, in Latino, non è per nulla un libro facile, non contempla visioni del mondo e della vita che possano tradursi in un modello politico o sociale, abbisogna di buone conoscenze filosofiche di base per essere capito. E tuttavia la sua opera ebbe una enorme importanza suscitando vasta eco nella cultura europea. Ho scelto, invece, per farvi scoprire Telesio, il libro che Roberto Bondì (Gela 1968) scrisse nel 1997 per i tipi di Laterza e che si intitola proprio “Introduzione a Telesio”.

Telesio era di origini nobili, seppure di una nobiltà di provincia, come poteva essere quella cosentina. Fu iniziato agli studi umanistici dallo zio Antonio. Seguì lo zio a Milano e a Roma, dove fu fatto prigioniero in occasione del famoso “sacco” della città. Poi andò a Padova, dove molto si dibatteva di Aristotele, suo principale oggetto di critica negli scritti che verranno. Lì studiò filosofia e scienze naturali e si laureò nel 1535. Seguì un periodo di inquiete peregrinazioni ed uno di ritiro meditativo presso un convento benedettino. Prolifica fu la sua permanenza presso i Carafa, duchi di Nocera, tra il 1544 ed il 1553. Sembra che proprio lì egli scrisse la prima stesura del suo capolavoro. Poi, il Nostro rientrò a Cosenza, dove rimase sino al 1563. Fu, ancora, a Roma e a Napoli. E tuttavia tornava spesso a Cosenza, dove era attiva l’Accademia Cosentina, e dove, alla fine, morì. I primi due libri del “De rerum natura” furono pubblicati nel 1565. L’intera opera, in nove libri, fu pubblicata, invece, nel 1586. Scrisse diverse altre opere minori, alcune dedicate a singoli fenomeni naturali, altre di contenuto più generale e taluna utile a comprendere meglio il suo pensiero.

In realtà il “De rerum natura” fu pubblicato in tre distinte edizioni: quella del 1565, quella del 1570 e quella del 1586. Con sostanziali differenze tra di esse. Soprattutto a causa del forte ostracismo che l’opera ebbe in ambienti ecclesiastici.

Il titolo della sua opera principale (“Della natura delle cose, secondo i suoi propri principi”) è già un programma. Telesio, infatti, compone una vera e propria “fisica”.

Telesio parte da una convinzione profonda – che però era propria anche dei neoplatonici e delle dottrine magiche – ossia che nella natura tutto è vivo che nella natura vi è una sensibilità universale. Anzi la natura ha in se stessa i “suoi propri principi” che ci aiutano a ricostruire la sua costituzione e la sua spiegazione. L’uomo, che è esso stesso natura, deve solo far parlare la natura e saper coglierne le rivelazioni. Da qui l’importanza dei sensi e della sensibilità dell’uomo ai fini della comprensione del mondo e della natura. Insomma, la grande novità di Telesio è di aver riconosciuto l’autonomia della natura e di avere così aperto la strada all’autonomia della ricerca scientifica, che di lì a poco avrebbe rivoluzionato il pensiero fiosofico.

Ma, mentre per la tradizione magico-ermetica il sapere era legato a processi iniziatici, a misteri e pratiche occulte, Telesio, anticipando anche in questo i fondatori della moderna ricerca scientifica ed empirica, si professa cultore di un sapere totalmente umano, che non lascia spazio a rivelazioni.

In chiave antiaristotelica, invece, Telesio si oppone alla superiorità della metafisica rispetto alla fisica. Ricordiamo che per Aristotele la metafisica è superiore a tutte le altre scienze teoretiche perché non è legata a necessità materiali, a scopi pratici ed empirici. L’uomo prova stupore e meraviglia dinanzi alle cose e da qui nasce il suo puro bisogno di conoscere il perché ultimo. E siccome il perché ultimo è Dio, la metafisica è per Aristotele “scienza divina”. Quelli che davvero contano sono i principi supremi delle cose. Ricordiamo anche che per Aristotele Dio è “motore immobile”, principio, sommo bene: da qui la grande fortuna che la filosofia aristotelica ebbe in ambito cristiano e cattolico. Telesio, invece, pur non negando un Dio trascendente e un’anima soprasensibile (cioè non conoscibile con i sensi), assume l’autonomia della natura e dei suoi principi rispetto alla metafisica. Opera cioè una “riduzione naturalistica”: è in tutte le cose ed in ognuna di esse (usiamo il termine cose ma potremmo usare anche quello di enti) che risiede il loro principio esplicativo naturale, ad esclusione di qualunque altro. L’uomo, per conoscere la natura non deve far altro che ascoltarla. E del resto l’uomo fa parte della natura, e proprio in quanto tale può conoscerla. Come sottolineano gli studiosi, Telesio è il primo filosofo – e in questo risiede la sua importanza – ad affermare energicamente l’autonomia della natura, ossia del mondo fisico rispetto a quello metafisico. Inoltre, quella di Telesio è una fisica qualitativa e, se anche intravede una prospettiva quantitativa, egli si dichiara incapace di spiegarla, auspicando che altri lo faccia dopo di lui. In modo tale che gli uomini divengano non solo “conoscenti” ma anche “potenti”.

Ho cercato di spiegare nel modo più semplice possibile il cardine della filosofia telesiana. Ora vediamo come Telesio tenta di spiegare, a suo modo, le cose della natura.

Secondo Telesio i principi fondamentali del mondo fisico, quelli che i nostri sensi ci rivelano immediatamente, il caldo (con azione dilatante, alleggerente e mobilitante) e il freddo (con azione condensante, appesantente e immobilizzante). Il cielo è caldo, la terra è fredda. Ma essendo il caldo e il freddo incorporei, essi hanno bisogno di una massa corporea che riceva e produca i loro effetti. Ed è qui che l’indagine di Telesio, come abbiamo accennato, si ferma. Lo stesso pensatore, infatti, si interroga – senza darsi una risposta – su quale debba essere la quantità necessaria di calore, ad esempio, per produrre i vari fenomeni.

Anche la differenza tra l’uomo e gli altri enti va spiegata. Telesio pensa di individuarla, innanzitutto, nello “spirito prodotto dal seme” (spiritus e semine eductus) che è in una posizione intermedia tra l’anima e il corpo e tuttavia saldamente agganciato alla natura corporea: il corpo riveste lo spirito e lo include. Ma accanto allo spirito, nell’uomo vi è anche un’”anima divina e immortale” (a Deo immissa), che tuttavia non serve a spiegare gli aspetti per così dire naturali dell’uomo stesso ma solo quelli che trascendono la sua naturalità. Ed infatti è attraverso lo spirito e gli effetti del caldo e del freddo sull’organismo che si ha percezione delle modificazioni apportate dalle due nature agenti. La conoscenza, dunque, nasce dalla sensazione. E da tale punto di vista i sensi sono più credibili della stessa ragione.

Secondo l’etica telesiana, il bene per l’uomo – come per ogni essere – è l’autoconservazione, esattamente come il danno è l’autodistruzione. Il piacere è la sensazione dell’autoconservazione, mentre il dolore lo è dell’autodistruzione.

Telesio ammette l’esistenza di un Dio soprannaturale e creatore ma nega che si debba far ricorso a lui per l’indagine fisica. E qui egli è in disaccordo con l’aristotelica funzione motrice del Dio “motore immobile” di cui abbiamo detto. Quella di Dio è piuttosto una funzione provvidenziale nei confronti dell’uomo.

In conclusione, sembra potersi scorgere nel pensiero di Telesio, un’anticipazione di quello di Galileo (e quindi del moderno pensiero scientifico). Nell’uomo vi sono due intelletti: uno proteso ad intendere il bene sensibile, l’altro quello eterno. Anzi, proprio l’intelletto proteso a intendere il bene eterno, ossia l’attività religiosa, rende l’uomo superiore e diverso da ogni altra cosa. Sarà, appunto, Galileo che distinguerà nettamente tra scienza (che ha il compito di mostrarci “come va il cielo”) e religione (che ha quello, invece, di mostrarci “come si va in cielo”).

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