LE RECENSIONI DI FRANCESCO BEVILACQUA
10- Umberto Zanotti Bianco, "Tra la perduta gente".
Umberto Zanotti Bianco (Creta 1889 / Roma 1963) fu il più "eroico" tra i meridionalisti che si occuparono dei problemi sociali della Calabria, in un’epoca (il fascismo) in cui, come abbiamo già detto, era considerato disfattismo mettere a nudo la miseria di luoghi e genti d’Italia. Perché, da grande filantropo quale egli era (fu anche letterato, archeologo, antifascista e fu, infine, nominato senatore a vita), ebbe il coraggio di "sporcarsi le mani", di vivere le condizioni della gente umile.
Zanotti Bianco aveva conosciuto le condizioni di vita della Calabria meridionale in occasione del terremoto del 1908. Da quel momento il soccorso alle popolazioni derelitte del Sud Italia divenne la sua ragione di vita, nonostante egli potesse aspirare ad una brillante carriera intellettuale e politica. Insieme con Leopoldo Franchetti, Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Giuseppe Lombardo Radice ed altri, diede vita all’A.N.I.M.I. (Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia), ente di cui abbiamo già parlato a proposito di Isnardi. Nel 1912, si trasferì addirittura in Calabria per sovrintendere da vicino alle opere che l’A.N.I.M.I aveva finanziato: asili, scuole, ambulatori medici, colonie montane, forme di cooperativismo socio-economico, corsi di formazione professionale. Fondò, inoltre, riviste culturali e diede impulso a ricerche archeologiche, costituendo all’uopo una società, la “Magna Grecia”, che finanziava le ricerche e gli scavi diretti dal grande archeologo Paolo Orsi. Nel dopoguerra fu anche presidente della Croce Rossa Italiana e di Italia Nostra.
La vita e l'opera di Zanotti Bianco sono ben ricostruite nel volume di Sergio Zoppi "Umberto Zanotti Bianco, patriota, educatore, meridionalista: il suo progetto e il nostro tempo" (Rubbettino).
Nel 1959, Zanotti Bianco pubblicò presso Mondadori, un testo destinato a rimanere fondamentale nella letteratura sulla Calabria, dall’emblematico titolo "Tra la perduta gente" e che raccoglieva sette prose narrative scritte tra il 1916 ed il 1928, quattro delle quali dedicate alla Calabria. Nel 2006 l’editore Rubbettino ha riedito il libro. Da aggiungere che esiste anche una versione del testo di "Tra la perduta gente" edito da Grisolia nel 1990, corredata dalla splendide, struggenti foto scattate da Tino Petrelli, reporter de L’Europeo nel 1948, al seguito del giornalista Tommaso Besozzi, inviato in Calabria per documentare le condizioni inenarrabili di miseria e di arretratezza nelle quali viveva la popolazione del vecchio abitato di Africo (già oggetto di attenzione da parte di Zanotti Bianco e protagonista proprio del racconto dal titolo "Tra la perduta gente"), letteralmente sperduto nel cuore dell’Aspromonte meridionale. Ma il volume contiene anche alcune foto risalenti al 1928 scattate dallo stesso Zanotti Bianco in occasione di una sua visita ad Africo.
Qualcuno ha usato l’aggettivo “infernale” per la condizione di Africo ancora agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso: un paese posto a quasi 700 metri di quota, abbarbicato su una ripida pendice di monte in una delle zone più impervie dell’Aspromonte, privo di una strada asfaltata che lo raggiungesse, senza fogne, acqua corrente, elettricità, ambulatorio medico; gente vestita di stracci, scalza, sporca, sottoposta a ritmi estenuanti di lavoro nei campi per ricavare poche derrate utili solo alla propria sussistenza; case fatiscenti, prive di servizi igienici, dove vivevano promiscuamente uomini ed animali; diete da malnutrizione con pane fatto di farina di lenticchie, cicerchie ed orzo; nullo il consumo di carne, scarsissimi i grassi, pochi i legumi, mediocre il consumo di formaggio di capra; la gente era costretta a mangiare anche ortiche e ghiande.
Ad Africo l’A.N.I.M.I. destinò ingenti contributi, aprendo scuole ed ambulatori medici. Ma il destino di quel paese, pure sito in un luogo di immenso fascino paesaggistico, era segnato (ancora oggi le sue rovine, benché non facilmente raggiungibili, sono in assoluto, uno dei luoghi più affascinanti da visitare in Calabria). Una serie di disastrose alluvioni ne provocò l’evacuazione forzata, e gli africoti (così vengono chiamati i suoi abitanti), molti dei quali non avevano mai visto il mare, dopo lunghe peregrinazioni ed altrettanto lunghe polemiche, furono trasferiti in un nuovo, anonimo insediamento sulla costa, ritagliato nel territorio di Brancaleone, a decine e decine di chilometri di strada dal vecchio abitato, attorno al quale, tutti loro avevano i loro interessi, la loro vita, i loro pochi beni, i loro luoghi dell'anima. Qui, nel ghetto in cemento armato costruito per loro, gli africoti rimasero pressoché inermi, beneficiari di un piccolo sussidio dello Stato, privati della loro identità e della loro dignità. Proliferò, così, una vera e propria epidemia di delinquenza e malaffare, come testimoniò anni dopo Corrado Staiano con un libro denuncia edito da Einaudi con il semplice titolo di "Africo" (ne parleremo subito dopo questo). Oggi, i ruderi del vecchio paese campeggiano nel paesaggio severo e drammatico dell’Aspromonte meridionale, abitati da branchi di maiali selvatici e di mucche al pascolo brado. Mura sberciate, vicoli strettissimi, stanze e piazzette dove ancora si rinvengono utensili lasciati sul posto in fretta e in furia. Il tutto avvolto nel fitto intrico dei rami di alberi e arbusti che, come in una giungla amazzonica, sembrano voler ingoiare ciò che l'uomo era riuscito a strappare alla natura selvaggia in secoli di quotidiano lavoro. Tutt'intorno, paesaggi d'incanto: boschi a perdita d'occhio, valloni incassati, montagne dai fianchi abrupti, fiumare dalle lunghe lingue detritiche, rupi mostruose.
Chi giunge oggi in questo posto pazzesco, sia che conosca la sua storia, sia che non ne sappia nulla, ha netta la sensazione che lì si sia consumata una vera e propria "apocalissi culturale" come avrebbe scritto Ernesto De Martino.
Riecheggiano, tra quei muri di pietre e sabbia le parole di Zanotti Bianco: "Sullo spiazzo dinanzi alla baracca del Municipio siamo circondati da alcune donne che vociferano tutte assieme. Visi di furie stanche e fameliche, scavati dalle sofferenze e dalle fatiche, con una espressione di animali inselvatichiti: visi così tirati dalle rughe, dalle curve amare delle bocche, da rendere impossibile la luce serena di un sorriso: visi malati, rassegnati nella loro disperazione e tutti vecchi, vecchi innanzi tempo. [...] Sono alcuni giorni che visito questi tuguri, prendendo nota della situazione economica e sanitaria di ogni famiglia. Si tratta in genere di vani di tre o quattro metri per lato, alti due. Su vasti pagliericci poggiati a terra o su uno zoccolo di legno, dormono ammucchiate sei, sette persone che poche coperte di ginestra debbono proteggere dal freddo: in un angolo il forno e spesso il fornello per la cucina, accanto una cassapanca ove viene riposto il grano e l'orzo; talvolta un telaio; dal soffitto pendono alcuni formaggi, cipolle, fasci di ginestre, quanto la famiglia è riuscita a serbare per sé. Gli animali, di notte, s'assestano dove possono. In uno di questi vani vidi nella penombra steso su d' un letto, accanto ad un malarico febbricitante, un grosso maiale: - Issu trema pu frevi (febbre - mi spiegarono - u porcu nci duna u focu soi. [...] Ho preso nota di tutto il fabbisogno che manderò a Reggio, ma un moto di ribellione mi agita il cuore. Hanno torto questi disgraziati a non vedere nello Stato che il fisco sotto veste d'esattore o di milite forestale? Da più di vent'anni questa popolazione vive in condizioni così degradanti da far arrossire di vergogna chi ha un po' di fierezza umana. Prefettura, provveditorato agli studi, ispettorato forestale, tutti assistono, senza interesse, senza alcun moto di solidarietà al lento disfacimento di questa comunità. [...] Stasera brume tristi gravano su tutte le cime e gli altipiani: ed una angoscia di esilio dal mondo, dalla vita, penetra lenta, dissolvente nelle mie vene. [...] Ah! L'indefinibile sgomento di queste notti che da secoli trascorrono ignare su tutto ciò che qui piange, senza recar mai, mai, la speranza d'un'alba migliore! [...] Cerco invano di addormentarmi per non morire di malinconia: cerco invano un perché a tanto penare, una giustificazione, uno scopo, a tanta assenza di bene: cerco invano di esaltarmi sognando la freschezza mattutina del mondo avvenire, pensando alla potenza dell'amore che saprà un giorno raggiungere anche questo angolo obliato della terra."