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LE RECENSIONI DI FRANCESCO BEVILACQUA

13- Massimo Iiritano, “Gioacchino da Fiore".
 

Rimaniamo sui grandi personaggi della storia calabrese. È la volta di Gioacchino da Fiore, nato a Celico, tra il 1130 ed il 1135, morto a San Martino di Canale nel 1202. Gioacchino è stato immortalato da Dante nel canto XII del Paradiso della “Divina Commedia”: "lucemi da lato / il calavrese abate Gioacchino, / di spirito profetico dotato". Quasi tutti sanno, poi, che proprio a Gioacchino si deve la fondazione dell’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore, intorno al 1196 (già nel 1189, sempre nei pressi, in località Jure Vetere era stato costruito un primo monastero, poi abbandonato, di cui restano i ruderi). Sempre nel 1196 il Papa Celestino III approvò l’Ordine Florense, fondato dal nostro abate, fuoriuscito dai cistercensi. Infine, le scarse notizie storiche sulla vita di Gioacchino giunte sino a noi (frammiste a quelle agiografiche) si devono al monaco cistercense Luca Campano, già suo compagno e segretario e poi arcivescovo di Cosenza, e ad una fonte anonima, probabilmente attribuibile ad un discepolo dello stesso Gioacchino.

Naturalmente ben pochi sanno quali idee propugnò il nostro e soprattutto perché Dante gli attribuì lo spirito profetico. Pur essendo noto il suo nome, infatti, quasi nessuno sa quel che egli disse e scrisse e soprattutto perché fu tanto famoso da influenzare, pare, anche il movimento pauperistico avviato da San Francesco d’Assisi. Ci aiuta a scoprire la vita, la personalità e l’opera di quest’uomo straordinario, il volume di Massimo Iiritano (Catanzaro 1972) dal titolo “Gioacchino da Fiore. L’attualità di un profeta sconfitto” edito da Rubbettino nel 2014. Massimo Iiritano è un giovane docente e ricercatore di Filosofia, che ha collaborato e collabora con diverse Università italiane e straniere, oltre che insegnare nella Scuola pubblica. Quello di cui parlo è anche un libro specialistico, ma ha il pregio – raro in Italia – di farsi intendere agevolmente anche dai non addetti ai lavori. Ecco perché lo consiglio, considerandolo anche un’opera divulgativa assolutamente fondamentale tra quelle necessarie a comprendere la Calabria ed i calabresi.

Poco sappiamo sulle origini di Gioacchino (secondo la tradizione il padre era un notaio ma si ipotizzano condizioni più umili della famiglia sulla base di alcune informazioni contenute negli stessi scritti di Gioacchino). Sicuro è un suo viaggio giovanile in Terra Santa. È lì che nasce la prima idea assolutamente rivoluzionaria e moderna di Gioacchino: il ripudio della guerra (nel caso concreto delle crociate) come mezzo di conquista o di assoggettamento dei non cristiani. Al ritorno lo troviamo all’Abbazia cistercense della Sambucina a Luzzi. Dopo il noviziato passa all’Abbazia di Corazzo (emanazione di quella di Casamari), a Carlopoli, dove, ben presto diviene abate. Nel 1183 è a Casamari per perorare l’autonomia di Corazzo. È lì che conosce Luca Campano, suo futuro biografo. Ottiene da Papa Lucio III il permesso di esporre per iscritto i suoi primi commenti alle scritture e si mette all’opera a Casamari, componendo le sue tre opere maggiori: “Concordia del Nuovo e dell’Antico Testamento”, “Commento all’Apocalisse”, “Salterio decacorde”. Tornato in Calabria nota che la vita nella comunità cistercense non lo aggrada più e desidera ardentemente un’esperienza più solitaria e contemplativa. Così si ritira dapprima a Pietralata e poi in una zona allora remota della Sila, seguito dal compagno Raniero da Ponza. Qui fonda il primo monastero di Jure Vetere. I cistercensi lo richiamano all’ordine, ma il richiamo sortisce l’effetto contrario. Altri monaci raggiungono Gioacchino, il quale ottiene, come abbiamo visto, l’autorizzazione da Papa Celestino III di fondare il nuovo ordine dei Florensi. Da qui la fondazione della nuova Abbazia (la “Badia”, i cui vasti tenimenti conferiranno a quella parte della Sila il nome di “Sila Badiale”) dedicata a San Giovanni Evangelista e allo Spirito Santo. Dal rifugio silano Gioacchino parte per varie missioni per propagandare la sua visione evangelica della vita e tentare di convincere anche i sovrani ad applicarla in politica. Memorabili gli incontri con Re Tancredi e con Riccardo Cuor di Leone. Ma la missione più importante è quella presso Enrico VI, nemico del papato e della Chiesa, che però vede di buon occhio Gioacchino perché fautore di una politica ecclesiastica di non intervento e assertore di una moralizzazione dei costumi della Chiesa. Cosicché l’imperatore ed il suo successore, Federico II, sono prodighi di donazioni verso i florensi. Come abbiamo detto, Gioacchino si spegne nel piccolo monastero di San Martino di Canale.

La straordinaria fama di cui godette Gioacchino al suo tempo ed oltre fu l’idea, ingenerata dal tono dei suoi scritti, che egli avesse il dono della profezia. A questo si aggiunga la sua irreprensibile vita ascetica, l’atteggiamento di pacificazione con l’Islam, ed ecco che la figura del monaco calabrese esce ingigantita in un’epoca di lotte per la libertà dei Comuni, di contese tra Papato ed Impero, di mondanizzazione della Chiesa, di diffusione dell’eresia, di fallimento delle crociate.

Più complessa è la comprensione del suo pensiero, apparentemente solo teologico ma di alto ed attuale contenuto filosofico (come dimostra il libro di Iiritano), votato ad una interpretazione originale delle Sacre Scritture, non privo però di un riferimento preoccupato alla situazione sociale, morale  e politica dell’epoca.

Vediamo di sintetizzare questo pensiero con l’aiuto del libro. Innanzitutto apprendiamo che Gioacchino rifiuta con decisione il ruolo di profeta, ma sostiene semplicemente di aver avuto la grazia di Dio, il dono di leggere nelle Scritture un grandioso piano provvidenziale. Tale piano sorge con evidenza, secondo Gioacchino, dalla “concordia” esegetica tra il Vecchio ed il Nuovo testamento e si articola in tre fasi del mondo e dell’umanità: la prima età, che appartiene al Padre, è l’epoca trascorsa dell’Antico Testamento; la seconda età, presente e prossima alla conclusione, è quella del Figlio; la terza età, futura, è quella dello Spirito Santo (sarebbe questa l’età di completamento dell’età del Figlio, in base all’insegnamento di San Paolo, dell’uomo perfetto secondo la pienezza dell’età di Cristo). Attenzione, però, perché in ciascuna delle tre ere opera indivisibilmente la Trinità. Tralasciamo la complessa suddivisione e specificazione delle tre età, per capire, piuttosto, significato e novità interpretative del pensiero gioachimita. Gioacchino aveva un fine precipuo: con la distinzione della storia del mondo in tre ere, intendeva fare un annuncio all’umanità, mettere in guardia dalla degenerazione morale imperante, lanciare un messaggio di alta spiritualità, subordinando agli ideali spirituali il lavoro, soprattutto quello manuale, che si colloca come vero e proprio esercizio finalizzato alla salvezza. Non solo, ma Gioacchino rivolge il suo monito innanzitutto alla comunità ecclesiastica, che deve dare il buon esempio e rifuggire da ogni tentazione mondana. Inoltre – e qui sta, in parte, l'attualità del pensiero gioachimita – occorre che gli uomini rifuggano dalle guerre, anche da quelle giudicate sante, perché la crociata armata è fuori dal senso cristiano della storia. “Forse avverrà - scrive Gioacchino nel Commento all’Apocalisse - che i cristiani abbiano la prevalenza più con la predicazione che con la lotta armata”.

I punti nodali dell'esegesi che del pensiero gioachimita ci propone Iiritano sono due. Innanzitutto la "modernità" che si declina nello spostamento operato da Gioacchino da un'escatologia religiosa ultramondana (l'attesa dell'aldilà) ad una, viceversa, fortemente mondana (l'età dello spirito si avvererà sulla Terra non nell'aldilà). In questo Gioacchino sarà rivalutato più tardi come un precorritore assai precoce della filosofia dello spirito di Hegel e del processo di secolarizzazione della Chiesa. L’altra chiave caratterizzante la lettura di Iiritano, consiste nella riscoperta dell’ispirazione ebraica della teologia gioachimita, la quale potrebbe essere legata addirittura ad un’origine ebraica dello stesso Gioacchino. Una lettura attraverso la quale il pensiero di Gioacchino apre uno squarcio decisivo tra medioevo e modernità, e può essere riscoperto oggi con tutta l’attualità di un “profeta sconfitto”.

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