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LE RECENSIONI DI FRANCESCO BEVILACQUA

11- Enzo Ciconte “'Storia Criminale”.
 

Sulla criminalità organizzata calabrese sono stati scritti non solo saggi importanti, ma anche romanzi. Ricorderò, a solo titolo esemplificativo “La famiglia Montalbano” di Saverio Montalto (alias Francesco Barillaro), “Impallidisco le stelle e faccio giorno” di Domenico Strati, “Il prezzo della carne” (già “Un anno in Aspromonte”) di Mimmo Gangemi, “Anime nere” e “Zephira” di Gioacchino Criaco. Tra i saggi, ho scelto di parlare di un libro avvincente, documentato, approfondito e chiaro, semplice da leggere. Si tratta di "Storia Criminale" di Enzo Ciconte (Soriano Calabro 1947) - maggior studioso del fenomeno, a mio avviso - edito da Rubbettino nel 2008. Il saggio di Ciconte parla di tutte e tre le principali organizzazioni criminali che affliggono il Sud (mafia, camorra e 'ndrangheta), facendone una opportuna storia ed una analisi comparata. Dico subito che chi non volesse affrontare le 432 pagine del libro può ripiegare sul breve e semplice "'Ndrangheta" dello stesso Ciconte ed edito, sempre dalla Rubbettino e sempre nel 2008.

Lo spazio a disposizione ci costringe a ridurre il campo della nostra indagine a quello che a me pare essere l'aspetto di maggiore interesse del problema e che condenserei in due domande chiave: come è nata la 'ndrangheta? E perché essa ha attecchito proprio in Calabria?

Partiamo dai luoghi comuni che gravano sul tema: a- la Calabria è una regione ad altissima densità mafiosa; b- i calabresi sono normalmente omertosi e conniventi con la 'ndrangheta; c- il fenomeno è tipicamente calabrese. Quel che non si dice con facilità, ma che si pensa quasi sempre, è che solo i calabresi possono essere 'ndranghetisti o loro sodali: per un fatto di indole, di carattere, se non anche di razza. Da qui la tesi secondo cui nel Nord Italia, la 'ndrangheta (e la mafia più in generale) è stata importata dai meridionali emigrati ed i settentrionali non hanno alcuna responsabilità. Ovviamente, nemmeno si considera che esistono organizzazioni di stampo mafioso (anche esse autoctone) in paesi come gli U.S.A., la Russia, il Giappone, la Cina (se non anche in quasi ogni parte del mondo, a parte poche isole felici).

Dunque, proviamo a rispondere con il libro di Ciconte a questi due interrogativi. Per poi trarre qualche conclusione non proprio ortodossa.

L'origine delle mafie al Sud è sostanzialmente coeva. La leggenda richiama una sorta di "importazione" del fenomeno dalla Spagna (non dimentichiamo la dominazione spagnola del Sud Italia durò per ben due secoli, il Cinquecento ed il Seicento) con la vicenda di Ostro, Mastrosso e Carcagnosso, i tre cavalieri appartenenti ad una società segreta di Toledo chiamata Guarduna (Sharo Gambino, nel suo "Ndranghita dossier" ricorda che perfino in un racconto di Cervantes si conferma l'origine spagnola dell'"onorata società"), che partirono dalla Spagna, fecero una lunga sosta a Favignana e poi raggiunsero, separatamente, la Sicilia, la Calabria e la Campania, dove fondarono le tre forme di criminalità organizzata ivi esistenti. La cosa è significativa per varie ragioni, ma anche perché richiama un dato storico importante: durante la dominazione spagnola, il Sud Italia fu angariato dalla prepotenza dei baroni, veri e propri padroni feudali di terre, cose ed uomini. I baroni, per resistere alle pressioni delle plebi ed al ribellismo popolare si circondavano di bande armate che costituivano piccoli eserciti privati di tipo criminale. Per converso, si ebbero, appunto, forti reazioni da parte dei diseredati con una prima ondata di banditismo.

In Calabria si hanno testimonianze storiche di comportamenti mafiosi già alla fine del 1700. Lo testimonia Giuseppe Maria Galanti, in una sua famosa inchiesta sulle condizioni socio-economiche della regione, parlando, per l'attuale Vibo Valentia, di "spanzati", ossia bricconi dediti a delinquere nei settori dell'agricoltura e del commercio usando la violenza. Con il decennio francese (1806/1815), in conseguenza delle leggi che abolirono la feudalità e dei cambiamenti epocali che seguirono, questi mafiosi ante litteram seppero trarre giovamento dagli eventi, per divenire alleati dei nuovi ceti emergenti. Le prime testimonianze ufficiali di questo tipo di criminalità si hanno, però, a partire dall'Unità. Benché una parte degli osservatori dell'epoca fosse convinta che si trattava di una forma di mutuo soccorso o di difesa di gruppi sociali poveri, arretrati, emarginati, legati agli ambienti contadini e pastorali, nei quali spiccavano i criteri della segretezza, dell'onore e del rispetto (da qui la definizione di "uomini d'onore" o di "onorata società"), la realtà era più complessa. I gruppi criminali che andavano costituendosi, infatti, si modernizzarono allorché capirono di essere sostanzialmente indispensabili alle classi dominanti, sia economiche che politiche, per poter mantenere un sistema di privilegi inattaccabile da parte delle classi subalterne. E con esse strinsero una lunga e proficua alleanza. Questa, si, avente scopo di mutualità: le classi dominanti venivano protette dai mafiosi; i mafiosi venivano tollerati, nei loro eccessi, dalle classi dominanti, le quali li hanno lasciati gestire le loro attività criminali e proliferare indisturbati, anche al punto da impedire un'efficace repressione dei reati (visto che per lungo tempo la giustizia è stata nelle mani delle classi dominanti stesse). Sino a che, per farla breve, la complessità del sistema economico e politico, da un lato, e la "maturità" raggiunta dalle organizzazioni criminali dall'altro, non hanno creato la situazione attuale: l'esponenziale moltiplicarsi del fenomeno, l'invasione di molti settori della vita economica, politica e sociale, la limitata efficacia dell'azione repressiva delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria. La sensazione tangibile che tutti noi abbiamo è, infatti, che, nonostante gli sforzi, la 'ndrangheta non potrà mai essere effettivamente sconfitta.

E veniamo alle conclusioni che possiamo trarre (che sono mie e non necessariamente di Ciconte). La prima è che la 'ndrangheta in Calabria è nata ed attecchita non per un problema di razza, di indole, di carattere dei calabresi ma per precise ragioni storiche, sociali ed economiche. La seconda è che l'attuale situazione di complessità e di "confusione" del fenomeno è dovuta agli errori di sottovalutazione e di connivenza delle classi dominanti del passato. La terza è che le forme di criminalità organizzata che esistono al Nord (ed in altre nazioni) non sono troppo diverse da quelle del Sud, né esistono solo perché qualcuno, dal Sud, ve le abbia importate. La quarta è che forse la criminalità organizzata è funzionale ed indispensabile alla generalizzata forma di economia di mercato iper-liberista che impera ormai nel mondo, con tutti i suoi corollari di spietatezza, concorrenza, sopraffazione, corruzione e poteri forti. Perché consente al sistema stesso (ed ai suoi burattinai) di compiere tutte le nefandezze che gli sono necessarie, trincerandosi dietro la criminalità organizzata stessa. La quinta - e forse la più scomoda - è che, nell'attuale società basata sulla bulimia di informazioni e di comunicazioni, la 'ndrangheta si è trasformata da "problema" in "spettacolo", anzi, con maggior precisione, oltre che un problema, essa è divenuta anche uno spettacolo mediatico. A giudicare dalle conferenze stampa delle procure, dai giornali, dalle televisioni, da Internet, in Calabria, la 'ndrangheta è il più grande spettacolo mediatico esistente, è l'unica cosa che fa notizia (e fa vendere i giornali), a parte qualche convegno, qualche sagra paesana, i miracoli di qualche santone, le gesta non proprio mirabolanti dei politici. E questo, nella genericità, superficialità, rapidità, mancanza di approfondimento dell'attuale sistema dell'informazione, contribuisce a produrre solo ed esclusivamente stereotipi, scoop talvolta palesemente falsi, luoghi comuni. Ma la colpa non è solo dei giornalisti superficiali. E' anche e soprattutto dei calabresi, che sono i primi, per autolesionismo, per masochismo e per quell'atavico complesso di inferiorità che li contraddistingue, a credere nella falsa rappresentazione della Calabria che in questi anni, anche sul fronte delicatissimo della 'ndrangheta, è stata loro ammannita.

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