IL SENTIERO DEL SILENZIO. E DELLO SPIRITO.
Ho vissuto le mie vite troppo in fretta. E con tanto rumore di sottofondo. Forse è per questo che, a sessant’anni, amo perdutamente la pace, la calma, la solitudine, il silenzio. No, non voglio vantare un’aura eremitica. Che non ho. Anche se spesso dico che mi ritirerei in una clausura sanamente relazionale. Amo le persone care e gli amici. Anche quelli che non conosco! Il solitario che è in me vuole anche comunicare. Come quasi tutti i veri solitari. In fondo anche i monaci di clausura comunicano: con Dio, con il sacro, con i loro compagni, con le persone che incontrano. Oggi ho immaginato un itinerario che adempia a questi miei desideri. Da tempo volevo vedere San Martino di Giove, dopo il restauro. E da lì partire per un cammino in direzione di Timparello di Bruno, in Sila Grande. Pietrafitta è ancora avvolta nel sonno quando passiamo per il piccolo paese. Ma Canale, il luogo dell’antica chiesa, non è vicino alle altre case. I monaci italo-greci che per primi abitarono la Chiesa, e il cenobio che doveva esservi annesso, scelsero come sempre un luogo solitario, su una terrazza naturale, occhieggiante verso la gole del Torrente Vaccarizzo e l’alta valle del Crati. Vi fu Sant’Ilarione con altri 28 compagni, leggo. Forse lo stesso Sant’Ilarione che era stato anche all’omonimo monastero di San Nicola di Caulonia, nella valle dell’Allaro (oggi abitato da un vero eremita, Frédéric Vermorel). E che nel 998 lasciò Canale per l’Abruzzo. Ma, quando il cristianesimo orientale fu sostituito da quello occidentale, venne a morire in quest’eremo il grande Gioacchino da Fiore. Era il 1201. L’edificio, con due absidi rivolte a oriente e un piccolo campanile riemerso dopo il restauro, compare nella prima luce del giorno, come una reliquia millenaria. C’è una strana luce nel cielo. Il sole è filtrato da un velo sottile di nubi. Ma l’orizzonte, verso occidente, è perfettamente visibile. Con la Catena Costiera sullo sfondo, dispiegata come una buia sinusoide. A partire dal triedro innevato del Monte Cocuzzo a sinistra. Visitiamo l’austero interno della chiesa. Parlano le pietre, le piccole finestre, i tanti segni lasciati nel tempo, lo scavo ove venne riposto il corpo di Gioacchino. Iniziamo il cammino. Saliamo fra le ginestre e le eriche addormentate. Un piccolo nido caduto sulle prime tracce di neve. Un aculeo di istrice. A parte i giovani pini, tutto il resto del bosco è un disastrato ceduo di castagno. Per tutto il giorno il “bosco stecchino” ci accompagnerà. Di fronte a questo sfacelo (che sul versante occidentale della Sila ammonta a migliaia di ettari) non posso non pensare all’Apocalissi, che proprio Gioacchino commentò. Mi compaiono dinanzi enormi ceppaie di vecchi castagni decapitati. I giovani polloni dei castagni, di qualche quercia, di qualche pioppo, disturbano le superbe visioni che si squadernano dinanzi a noi, fra Cona della Sella e Timparello di Bruno: i Monti dell’Orsomarso, il Pollino, la valle del Craticello, i monti della Presila Cosentina, sino ai Monti Reventino e Mancuso a sud. Vediamo anche Cosenza e i suoi casali, oramai ammassati in uno sprawl urbano che somiglia tanto ai tentacoli di un polpo ciclopico. Laggiù l’apocalissi dei paesi, quassù quella dei boschi! E all’orizzonte una speranza di bellezza. La Calabria non conosce via di mezzo: o è troppo brutta o è troppo bella! Ora però, penetrando nel bosco di pini e faggi, affondando nella neve, nella luce livida di febbraio, avvertiamo i doni della solitudine e del silenzio. Quelli che cercavo! E penso a Gioacchino e alla sua profezia di una terza età, l’Età dello Spirito, che, partendo al messianesimo ebraico, sarebbe dovuta giungere non dopo la fine di tutto, ma qui, sulla Terra, fra uomini in carne e ossa. E’ qui che umiltà, spiritualità, solidarietà, fratellanza, pietà, secondo questo grande profeta del Medioevo, devono sostenere i comportamenti degli uomini. Che l’abate, campione del pauperismo e della mitezza, ispiratore di Francesco d’Assisi, unico fra gli uomini di chiesa dell'epoca a schierarsi contro le crociate, spronava a vivere secondo i principi del vangelo: cosa che gli costò un sospetto di eresia, qualche anno fa rinverdito da Papa Ratzinger. Quando la visione dei disastri prodotti dall’uomo scompare, e la vera foresta ci avvolge, potremmo credere d’essere noi stessi monaci florensi in cammino verso l’archicenobio di San Giovanni in Fiore: due giorni di arduo cammino attraverso la Sila Grande. Si apre, dinanzi a noi, un meraviglioso, grandioso sentiero del silenzio e dello spirito. Nelle foto: immagini di S. Martino di Giove e del sentiero per Timparello di Bruno. Foto Francesco Bevilacqua.