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BOSCO DELLA LACINA E COLLA DEI PECORARI: IL FUTURO HA UN CUORE ANTICO.


C'è un'ombra benevola nel bosco stamane. Trafitta dalla polvere d'oro di improvvisi raggi di sole. E vento tra le fronde altissime dei faggi e degli abeti. E una fresca umidità che imperla la lettiera di aghi e foglie. E pietre muscose dalle forme bizzarre. Una benedizione del cielo dopo tanto caldo. Qui, nel bosco immenso che copre come un manto di velluto l'intera dorsale del Monte Pecoraro, anime errabonde cercano quel silenzio che manca alle vite degli uomini. Qui, altri uomini, gli alberi, le pietre, le nubi nel cielo, la rugiada, il vento, la luce, gli spiriti delle selve, i viandanti comunicano fra loro senza bisogno di uno smartphone. Per questo qui non viene nessuno, a piedi. Ed oggi non vediamo nessuno, tranne i tanti esseri della terra, dell'aria e del cielo che ora ci avvolgono in un abbraccio cosmico. Non è facile trovare una foresta così sontuosa. Ma chi ce l'ha tanto vicina non vuole accorgersene. Mi meraviglio come i serresi non passino tutto il loro tempo libero a vagare quassù, esplorando ogni angolo, ogni piega di monte. Solo i monaci della Certosa ci vengono durante il loro giorno di "spaziamento", di libertà dal chiostro. E puoi incontrarli, mente sfilano, più silenziosi dei selvatici, fra gli abeti maestosi che stupirono San Bruno di Colonia. Che questi luoghi descrisse in una commovente lettera al confratello lontano Rodolfo il Verde, come fossero i più belli del mondo. In fondo siamo monaci anche noi. La gente comune crede che un monaco sia un uomo incapace di vivere in mezzo agli altri. In realtà il monaco cerca gli altri, l'amore per Dio e per gli altri, nella solitudine e nel silenzio. Anch'io cerco esattamente questo. Tutte le volte che posso. Non tollero null'altro, per il mio tempo libero, che non sia solitudine e silenzio. Ecco perché oggi siamo venuti qui. Nel bosco che dalla conca della Lacina risale dolcemente verso la Pomara e Colla dei Pecorari. Ora c'è un lago nella conca, che ha sommerso campi coltivati, pascoli, piante rare. Per accontentare l'avidità e la stupidità dell'uomo. Doveva servire a dissetare Serra San Bruno. E invece l'ha avvelenata. Il lago è odiato. Ed è odiato chi lo ha realizzato e chi lo ha costruito. Per una strana nemesi, una cortina di rovi ne impedisce la vista per un lungo tratto. E una recinzione lo chiude come in una prigione. Un improvviso scorcio ce lo mostra sovrastato da proterve pale eoliche nel bel mezzo dell'inutile Parco Regionale delle Serre (che pure io ho tanto voluto). Inutile perché è come se non esistesse. Ma non appena ci si addentra nella foresta, cade ogni preoccupazione, cessa ogni pensiero negativo. Oggi ci risparmiano anche i quad e le moto da cross. Nessun umano osa interrompere la nostra lunga erranza. Ci accompagnano i faggi colonnari e i grandi abeti, le pietre sovrapposte come dolmen. E, per come ricordavo vagamente dall'ultima volta che venni qui, in un autunno di tanti anni fa, due soli, meravigliosi scorci panoramici verso le valli che convergono verso il Bosco di Stilo e Ferdinandea: quasi che la natura ami nascondersi, come diceva Eraclito. Nel tardo pomeriggio passiamo da Serra, ribollente per un matrimonio che pare un evento mondano. Con i curiosi a perdere tempo per vedere gli sposi e le macchine squaloidi e gli improbabili abiti da cerimonia e i clacson. Ma anche a Serra, che pure ha una grande tradizione di mistici, di scrittori, di studiosi, di artigiani, qualcosa comincia a muoversi. Ci raccontano che qui hanno organizzato un grande moto raduno di Harley Davidson! Ma che c'entrano le moto americane con Serra San Bruno, la patria di Bruno di Colonia e Sharo Gambino e Bruno Pelaggi e Tonino Ceravolo? Mi dicono che c'è stato un festival letterario in cui si è parlato di grandi temi? Ma perché non avete parlato dei vostri luoghi, della loro assenza dalle menti dei serresi, della mancanza di consapevolezza e responsabilità. Com'è non vi siete chiesti perché, un paio d'anni fa dovemmo venire in mille da tutta la Calabria per cercare di salvare il Bosco Archiforo, poi impunemente martoriato nonostante tutto? Perché non vi siete indignati per l'acqua imbevibile che la stessa società che sponsorizza il festival pompa nei vostri rubinetti? Riprendetevi i vostri luoghi! La vostra storia! La vostra memoria! Ed organizzate un festival interamente dedicato al grande monito di Carlo Levi: "Il futuro ha un cuore antico". Nelle foto: scorci dei luoghi tra la Lacina e Colla dei Pecorari, Serre, Calabria. Foto Francesco Bevilacqua.


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