IL MISTERIOSO RICHIAMO DEI LUOGHI.
Nei luoghi ritorni. Sempre. Se hai un animo gentile. Ce lo dice James Hillman ne “L’anima dei luoghi”. Ce lo ricorda José Saramago in “Viaggio in Portogallo”. Perché i luoghi hanno una loro forza segreta, misteriosa: il richiamo, l’evocazione. Nelle varie stagioni sono incredibilmente diversi. E diversi sono anche col sole, la nebbia, la bufera, il freddo, il caldo. Differenti, a volte irriconoscibili, sono anche solo al mattino e nel pomeriggio. E poi, lasceresti solo un amico o un’amica per tanto tempo? Magari è triste e ha bisogno di te. Non correresti da lui o da lei non appena ti si presentasse l’occasione? L’occasione mi si è materializzata ieri sera, sabato. Rientro tardi, stanchissimo, da un’iniziativa a Gagliato, nell’entroterra di Soverato. Il sabato, di solito, è il giorno della riflessione. Penso a nuove esplorazioni per il giorno appresso. Interrogo la mia memoria visiva (l’intuizione di una via vista dalla cima di una montagna, una piega fra i monti che risale una valle …). Studio le carte corografiche. Ipotizzo un percorso. Valuto le difficoltà. Decido la meta sulla base di tanti elementi. Ieri non sono riuscito a fare tutto questo perché dovevo preparare la mia relazione al convegno. Arrivo a casa con solo qualche vaga idea. Ma è troppo tardi per svilupparla. So che i miei amici di Paola andranno in un luogo a me tanto caro: la valle del Fiume Argentino. Colgo l’occasione per rivedere i miei amici, umani e naturali. Lasciamo subito la valle principale per percorrere quella laterale di Milari, dove scorre il Rio Brancato. Muretti a secco, vecchie case di pietra, ricoveri di pastori rimasti uguali a se stessi dal Neolitico. Il bosco fitto e giovane, è ricresciuto dopo un secolo di devastazioni industriali, perfino con teleferiche e ferrovie a scartamento ridotto. Al valico di Castel di San Noceto (uno strano toponimo che ricorre nella Calabria bizantina in forme simili), prendiamo il ripido, stretto percorso che serpeggia nella boscaglia e su aerei crinali per portarci sulla rupe omonima. Ove si celano i ruderi di un’antica fortificazione longobarda sommersa dalla vegetazione. E da lassù una vista impressionante si apre sulle opposte valli dell’Argentino e di Milari. Il fortilizio controllava la via istmica dell’Argentino, percorsa da carovane di mercanti, da eserciti, da semplici pastori, contadini, boscaioli, cavatori di salgemma, argento e altri minerali. Oggi la valle è un immenso velluto verde di boschi sormontati da rupi proterve. Tutto ha un nome, picchi rocciosi, pendici, pianori, corsi d’acqua. Segno che i luoghi erano umanizzati sin dove oggi paiono avvolti da un’aura di selvaggità. Ma anticamente la valle pullulava di vita. Le foreste stavano solo nelle zone più impervie. Mentre ogni angolo coltivabile era sfruttato. Doveva apparire alla vista acuta dei soldati come uno straordinario un mosaico agricolo. Con i sentieri, oggi celati nella vegetazione, perfettamente controllabili da quassù. Quella dell’Argentino era la valle più importante, come ha dimostrato con i suoi studi Giovanni Russo, del Mercurion, ossia del vasto territorio dell’eparchia monastica popolata, sotto i bizantini, da cenobi (monasteri), laure (piccole comunità di eremiti), asceteri (singoli romitaggi) e dalle comunità che crescevano intorno ad essi. E il Mercurion fu la terra d’elezione dei più grandi santi della tradizione italo-greca, su tutti San Nilo da Rossano, che visse per anni in una grotta isolata. Caliamo da quel nido d’aquila fin nel ventre profondo dell’Argentino, che scorre gelido e copioso anche in questo tempo di siccità. Le sue acque limpide, rapide, sonanti, sono di un colore tra l’avion e lo smeraldo, interrotto da spume diamantine. Ridiscendiamo la valle accompagnati da un suono di una miriade di campanelli tintinnanti. E’ la voce del fiume. Chi l’ascolta una volta ne è rapito. E non può dimenticarla. E’ il richiamo stesso, l’evocazione della valle. Che, nel profondo della tua psiche, ti invita, ti seduce, ti attrae misteriosamente a sé. Nelle foto: immagini di Castel di San Noceto e della valle del Fiume Argentino. Foto Francesco Bevilacqua.