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ESSERE O APPARIRE


Terzo giorno dopo le dimissioni dall'ospedale. La terra è inondata da un sole caldo e radioso. Vinco la pigrizia ed il malumore e vado sulla mia montagna di casa. Il Monte Reventino risplende di luce. Il cielo terso si confonde con il mare, sul grande ovale del Golfo di Sant'Eufemia. Sullo sfondo le Serre e l'Aspromonte, così come li descrisse, con rara precisione geografica, Henry Swimburne, passando proprio da qui nel 1777. Due contrafforti stringono in un abbraccio la Valle del Fiume Piazza, che sfocia nella Piana. Odore di resina: balsamo per i miei polmoni. Cammino piano. Come se potessi rompermi da un momento all'altro. Gradualmente riacquisto fiducia, ritrovo il ritmo dei passi e del respiro. E scopro che le ginestre sono tornate a fiorire. Come ogni anno, da millenni. E pure gli anemoni, il timo, le margherite, le orchidee. Ogni visuale sulla Piana e sul Golfo è un tuffo al cuore. Mi sovvengono sempre, in questi casi, i versi di Omero che chiudono la descrizione dell'isola di Ogigia, nell'Odissea: "Nel venir qui, anche un nume immortale doveva incantarsi e godere nel cuore". Per gli antichi greci la natura era increata e preesisteva agli stessi dei. Ecco perché un nume poteva ancora stupirsi dinanzi ad un paesaggio. Ogni passo è un ritorno a casa. Ogni sguardo è una riconquista di libertà e dignità. Raggiungo Monte Faggio con le sue pietre color smeraldo. Seggo sereno ad osservare tanta meraviglia. Mi appare all'improvviso la città tentacolare che cresce laggiù, nella Piana. E ricordo un'aurea massima di François de la Rochefoucauld: "Ci guadagneremmo di più a lasciarci vedere come siamo che a cercar di sembrare quel che non siamo". Nelle foto: scorci del Monte Reventino (Platania, Calabria). Foto Francesco Bevilacqua.


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