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NELLE GOLE DEL CENTACQUE. PER RITROVARE LA STRADA PERDUTA.


Domenica, mattino presto. Una trapunta di nubi scure e minacciose copre il cielo della Catena Costiera, affaciata sul Tirreno calabro. Risaliamo le gole del Torrente Centacque. Che scende dai monti: Pietra Ferruggia, Pietra Longa, Mano del Gigante, Monte Barbaro. John R. R. Tolkien diceva: “datemi un nome e creerò una storia”. Essendo un linguista e filologo ed avendo studiato a lungo le antiche saghe norrene, capiva bene che i nomi, i toponimi in particolare, non sono mai casuali. All’imbocco, i resti dell’abbazia di Fonte Laurato, costruita intorno al 1200 dai monaci dell’ordine Florense di Gioacchino da Fiore, visionario, teologo, esegeta dei testi sacri, propugnatore di un’età dello spirito da realizzarsi sulla Terra, seguendo il pauperismo evangelico. Vista la stagione, non possiamo risalire direttamente nell’acqua. Ci inerpichiamo lungo uno stretto sentiero che taglia diagonalmente la pendice di destra. Vi passano ancora animali: vacche, capre. Segni di coltivi, terrazzamenti, ruderi. Ovunque alberi di noce. I vecchi alberi di frutta sono già fioriti. Una grotta riparo di pastori, dalla volta annerita dal fumo. Un enorme masso tondo, tagliato da una profonda fenditura, ed eroso, alla base, dalla furia dilavante dell’acqua di un vallone precipite. Poggi erbosi invasi da ampelodesmi e rovi. Dai quali, volgendoci indietro, intravediamo il Tirreno, ed il borgo arroccato di Fiumefreddo. Dopo due ore di cammino, il labile sentiero sembra perdersi. E’ ora di scendere al fiume. Thomas S. Eliot scrive: “Io non so granché dei dei; ma penso che il fiume / sia un forte dio bruno, scontroso, indomito e intrattabile, / paziente fino a un certo punto”. Questa volta è una pista appena tracciata dagli animali. Ripida, scivolosa, appesa su burroni. L’adrenalina scorre. Ma so che è lì che siamo attesi. Caliamo sul greto. Una forra oscura invasa da massi muscosi e felci, sovrastate da una boscaglia di ontani. Decine di rivoli scendono dalle pendici laterali. L’acqua rantola furiosa nel suo stretto alveo di pietra. Risaliamo a fatica in una giungla di rovi, rami caduti, alberi schiantati. Il teschio di un predatore con due enormi canini. Penso a un lupo. Non sento il martirio delle spine su tutto il corpo. Scorre anche la dopamina. L’alveo, ora, è una magnifica architettura di roccia, che nessuno potrà mai narrare. Salvo ad intuirlo dal nome. Questo è davvero il Centacque. Che ha costruito il suo cammino attraverso il suo millenario, liquido scorrimento: levigando, strappando, spazzando via, sfondando, travolgendo. Ma tutto è composto, nella sua perfezione imperfetta e selvaggia, come se il dio bruno del fiume avesse personalmente scalpellato il luogo. Scorre a fiotti travolgenti la serotonina. Qui vivono i satiri (fauni per i romani), le divinità dalle fattezze umane ma con corna, coda e zampe di capra, personificazioni della forza vitale della natura. Suonano con il flauto di canna gettato loro da Atena. Con una musica sensuale - di cui perfino Debussy si è fatto interprete nel suo “Prélude à l’aprés-midi d’un faune” - attraggono le ninfe per possederle. Noi non siamo propriamente ninfe, ma ci sentiamo posseduti. Nell’impossibilità di proseguire ripieghiamo. Percorriamo il sentiero dell’andata, a ritroso. Dall’alto scruto i tratti visibili delle gole. Dove c’è di tutto: rupi, cascate, grotte. Noto delle tacche di pastori sugli alberi. Sono segni. Scendiamo per la seconda volta verso il fiume, sfidando il monito di Eraclito: “non si può scendere due volte nello stesso fiume”. Ma anche per noi tutto scorre. E ci sentiamo travolti dai flauti del satiri. Ancora meraviglie. Restiamo a lungo a girovagare estasiati, rapiti, posseduti, appunto. Troppo. Perché nel tornare smarriamo la via. E diveniamo noi stessi animali al pascolo brado. Sperduti su una ripida pendice. Con il nulla, sopra e sotto di noi. A fatica ritroviamo la strada. Perché questa è la nostra passione, il nostro destino, la nostra vera audacia: ritrovare la strada perduta. Nelle foto: immagini delle Gole del Torrente Centacque (Catena Costiera, Calabria, Fiumefreddo Bruzio).

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